martedì 14 marzo 2017

Li preferisco cattivi

I personaggi cattivi non esistono in maniera assoluta, esistono “in modalità provvisoria”. L’identità permanente, che definiamo essenza, va al di là delle etichette o dei giudizi e si lega più a un gesto, a un’azione, a un fare, a un sentire piuttosto che a un’immagine. Le immagini vanno bene per la mente: le servono per mettere a fuoco e in ordine un concetto di sé che altrimenti essa, con il suo modo di operare analitico, non potrebbe comprendere.
In ogni caso, nelle storie che solitamente ascolto e leggo preferisco i personaggi che fanno del male. In me c’è la convinzione che le loro mostruose gesta operino, in fin dei conti, per il bene di tutti.
La ragione è semplice: la malvagità disturba, crea scompiglio, provoca conflitti, desiderio di fuga e di cambiamento. Il male, più che il bene, muove l’azione verso l’ordine. Tutto si dirige verso l’armonia, ma per esserci l’armonia bisogna entrare nell’occhio del ciclone, attraversare il caos e conoscere il male.

Per esempio l’orco de Il gatto con gli stivali è un despota che incute terrore, ma è tutt’altro che indigesto! E’ il mostro, l’avversario, la paura, l’ostacolo, il dolore ed è dotato di enormi poteri magici, ma l’astuto gatto si prende gioco della sua superbia e lo induce a trasformarsi in un topolino di campagna. In questo modo il felino se lo può mangiare. Il personaggio crudele diventa cibo che viene digerito. Con la digestione si verifica un processo di separazione del nutrimento da ciò che nuoce e quello che non serve per la vita viene espulso dal corpo.
In questa favola il cattivo non muore: è indispensabile all’investitura del padrone del gatto con gli stivali come nuovo proprietario delle terre e dei possedimenti dell’orco.
In un altro racconto la funzione educativa che ricoprono tutti i cattivi è resa manifesta nel saggio protagonista de Il ciglio del lupo, di Clarissa Pinkola Estés. Qui il lupo non è più la belva feroce di cui avere paura e da cui tenersi alla larga o fuggire come accadeva in Cappuccetto rosso. Esso è divenuto l’essere spaventoso con cui ci si deve assolutamente confrontare. Perché prendere in mano un suo ciglio equivale a vedere con la sapienza di chi vive nel bosco, ossia con la capacità di chi sa guardare "attraverso gli occhi di ciò che pesa il cuore con il cuore, e non con la mente soltanto."
Solo facendo l’incontro col lupo si può trovare risposta alla domanda più importante della nostra vita: “Dov’è l’anima?” Il che, in altre parole, significa chiedersi: “Cosa è importante per me? Cosa mi fa stare bene? Cosa mi fa sentire vivo?” e finalmente iniziare a scegliere, agire e camminare da soli nel bosco.

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