Il divano con la pancia
La pancia è la dimora dell’essere: è lì che prendiamo forma per entrare nel mondo ed è da lì che fermentano le emozioni più intense. E’ dalle viscere che brulicano gli istinti che la natura ci ha dato. E’ dal grembo che proviene la forza.
La piccola Regina trascorreva gran parte della giornata ad aspettare. Aspettava sempre che la sua solitudine terminasse.Regina aveva quattro anni, dei bellissimi, vaporosi capelli lunghi oltre le spalle e due grandi occhi curiosi che mettevano il sorriso a chi la guardava. Era piena di domande e di cose da imparare, Regina. Il suo desiderio, una volta cresciuta, era quello di essere di aiuto al suo papà che lavorava anche quindici ore al giorno come cuoco di un famoso ristorante della città. Papà era uno spasso: conosceva un sacco di giochi e raccontava tantissime storielle divertenti. Ma purtroppo non c’era molto.
Anche la sua mamma passava tanto tempo lontano da lei perché voleva mettere i soldi da parte per realizzare il suo sogno: costruire una piccola fattoria e dedicarsi a coltivare la terra. Come il suo papà, la mamma era una persona speciale, perché aveva un sacco di idee e di fantasia. Quando si recava a fare la spesa tante cose non le acquistava nemmeno, perché era capace di creare con le proprie mani abiti, tovaglie e coperte più colorati e originali di quelli che trovava nei negozi.
La donna faceva due lavori: era la collaboratrice tuttofare di un’attrice, un tempo famosa e apprezzata, che aveva trascorso la sua intera esistenza tra eccessi e sbalzi di umore. Costei era una persona molto capricciosa e la madre di Regina faceva di tutto per accontentarla. La sera poi, per qualche ora lavorava come barista in un pub di Londra. Era riuscita a trovare una casa vicino al locale e un capo comprensivo che le concedeva un sacco di permessi quando sua figlia stava male.
Per fortuna spesso c’era la nonna a prendersi cura di Regina quando la madre proprio non poteva. Da un mese però l’anziana aveva le gambe ingessate perché era caduta dalle scale e tutto era diventato più difficile. La donna doveva fare i salti mortali per stare vicino alla sua bimba e, quando proprio non vi riusciva, trovare qualcuno che si occupasse di lei era un’impresa. Così, spesso Regina si trovava a casa da sola. “Sì, non è una cosa da persone responsabili”, diceva tra sé e sé la mamma quando doveva lasciarla per andare al lavoro, ma in quella città erano poche le persone su cui poteva contare.
Una di quelle sere solitarie in cui doveva comportarsi da grande, Regina si sentiva particolarmente triste e abbacchiata. La pioggia che durante il giorno era stata costante e moderata, si era trasformata in temporale. Il rumore del vento che faceva sbattere i vecchi balconi della casa la spaventava molto di più dello scrosciare della pioggia che si riversava a cascata sulla lamiera del tetto della mansarda in cui viveva. E poi, i lampi e i fragori dei tuoni la coglievano di sorpresa nei pochi momenti in cui riusciva a ritrovare un po’ di coraggio, in quella sorta di pentola a pressione in cui le sembrava di trovarsi.
Improvvisamente il fracasso cessò. I suoi occhi si posarono sul piccolo divano rosso accanto alla poltrona in cui si era raggomitolata per la paura, insieme al suo orsetto, Orsolo. Uno strano movimento catturò il suo sguardo: la seduta del divano presentava uno strano rigonfiamento al suo centro che si sollevava e abbassava a cadenza regolare. Pareva vivo.
La piccina, che aveva scordato il baccano del temporale, si era avvicinata per tastare la novità. Tese l’orecchio e si accorse che la “pancia” si muoveva ritmicamente al tempo di un sussurrato e placido ronfare. Vi posò sopra la manina e, cosa ancora più strana, avvertì che la “pancia” era calda.
Regina, che sapeva di essere anche coraggiosa, non si spaventò, prese la sua copertina e decise di accoccolarsi ai piedi del divano per tenere sotto controllo quegli strani movimenti e per poter far vedere alla mamma, il giorno dopo, che era stata una brava guardiana della casa. In fondo non doveva avere paura, c’era Orsolo a farle compagnia e quella strana pancia non poteva farle del male: se i suoi movimenti erano così lenti probabilmente era perché aveva appena mangiato tante cose buone.
Gli occhi della bimba le si chiusero al pensiero che quello strano pallone, che ora pareva russare, si sarebbe sgonfiato il giorno dopo a digestione avvenuta.
Lentamente Regina si sentì risucchiare dalla pancia. Tenuta per le mani da una strana forza, la bimba allungò prima le braccia, poi il busto e infine tese le gambine in direzione del ventre scuro. E poi ci fu un sussurro a costruire un suono simile a un “naaaa”, che le fece fare un balzo all’interno di uno spazio buio.
Non era stata una sensazione sgradevole quella di sentirsi scivolare dentro quell’ammasso rotondo. Aveva solo avvertito un po’ più caldo di prima. Solo allora che si trovava nel grembo, sentì di poter avanzare sofficemente come se si trovasse avvolta da nuvole di zucchero filato. Non era affatto terrificante trovarsi avvolta dall’oscurità, perché la bambina riusciva a muoversi agevolmente e non aveva importanza vedere dove stesse andando, visto che le sue mani le suggerivano esattamente cosa aveva davanti: un morbido cuscino legato con degli spaghi a diversi palloncini.
Si accoccolò su quel giaciglio in grado di accoglierla tutta e cominciò a salire. In alto fino al soffitto. E poi il soffitto scompariva. In alto fino al tetto. E poi il tetto scompariva. In alto nel cielo, oltre il temporale, in mezzo alle stelle.
Nel nero del cielo, Regina non si sentiva più separata dal resto del mondo. La pancia le aveva donato una bizzarra mongolfiera che l’aveva sollevata sopra la sua solitudine e l’aveva fatta atterrare nella luce. Su un astro. Al di là di ogni paura.
La mattina seguente la mamma tornò, ma non trovò la piccola Regina nel suo lettino. La vide addormentata sul divano, abbracciata alla coperta di lana blu che la sera prima aveva appena finito di cucire per scaldarla, in quella burrascosa notte di pioggia. Da una mano della bimba spuntava una cordicella di spago alla cui estremità penzolava un nastrino bianco con una scritta: “Paura”. Una lacrima argentata scese lentamente lungo le gote del suo visino, mentre dalla gola saliva lentamente la voce. Un bisbigliato “Coraggio” uscì dalla sua bocca.
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