La bottiglia di sua maestà

La bottiglia di Sua Maestà 

di Massimo Baglione

L'Imperatore Dixel, terzo del nome, se ne stava stravaccato sul suo prezioso trono, regalo di un suddito molto facoltoso graziato da una morte piuttosto brutale. Dall'espressione pareva che l'Imperatore Dixel III stesse studiando un qualcosa che solo lui potesse vedere. A quei tempi era meglio non farsi troppe domande, ed era meglio dare per scontato che l'Imperatore avesse sempre ragione, soprattutto in momenti come quelli, quando lui c'era e la sua mente vagava altrove.
— Marcus Vilandel, violazione del coprifuoco. — diceva qualcuno, con voce ben impostata.
Dal Ponte Reale dell'astronave imperiale "Space Force 1", l'Imperatore stava fissando lo Spazio profondo attraverso la finestra panoramica alla sua sinistra. Aveva una guancia appoggiata sul pugno destro, le gambe distese e incrociate, e lo sguardo vacuo. Volendo essere più precisi, l'Imperatore stava fissando una bottiglia di Brandy terrestre, una di quelle riserve rarissime e più preziose di un'astronave utilitaria. La bottiglia si trovava tra lui e la finestra panoramica, ed era posata su un tavolino di cristallo rosa.
— Marcus Vilandel, violazione del coprifuoco. — gli ripeté con cura il Cancelliere De Pardié, sperando di non dover salire nuovamente la scalinata e riportare l'attenzione dell'Imperatore alle faccende serie.
Con l'indice della mano sinistra, l'Imperatore stava disegnando in aria i contorni di quella bottiglia, ancora mezza piena, rimasta inviolata da quasi due mesi, cioè da quando il dottore gli ha detto che, se non la faceva finita con la vita sregolata, avrebbe seriamente compromesso la sua vita e l'integrità dell'Impero tutto.
— Dottore, — gli chiese quel giorno — se mi togliete anche quest'ultimo sfizio, cosa mi resta? Non posso andarmene in giro perché i cospiratori non aspettano altro per disintegrarmi; non posso scappare di nascosto perché, be', perché sono io; non posso ancora avere una famiglia per via di quei miserabili conquistatori rossi che mi costringono a estenuanti viaggi diplomatici; non posso starmene da solo perché siete in troppi; non posso… al diavolo dottore, cosa mi resta se non quella dannata bottiglia?
Il dottore, incolpevole di fronte a una diagnosi che non concedeva diverse interpretazioni, restò ad ascoltarlo come farebbe un padre con un figlio sull'orlo di una crisi di nervi.
Una mano sulla spalla destò l'Imperatore da quegli ingiusti pensieri: — Maestà, dobbiamo continuare. — fece il Cancelliere, con la stessa cautela che si potrebbe usare di fronte a un tigrosauro isterico.
— Continuate. — rispose crudo l'Imperatore, degnando i presenti di una rapida occhiata.
Il Cancelliere De Pardié s'inchinò rispettosamente, ridiscese le scomode scale e afferrò con lieve stizza la lista che stava cercando di sfoltire prima di pranzo. Si schiarì la voce e ripeté: — Marcus Vilandel, violazione del coprifuoco.
Il vecchio Marcus se ne stava in piedi, a testa bassa, con le mani legate da un laccio di forza, e le spalle curvate da decenni di lavori forzati sulla luna penitenziaria di "Borea", un pianeta/covo di puritani. Il vecchio faceva parte di una lista di cento fortunati, selezionati casualmente ogni anno da un computer, che potevano recarsi al cospetto dell'Imperatore per sperare in un suo gesto di clemenza. Era stato accusato, trent'anni prima, di violazione del coprifuoco (un grave reato, soprattutto su Borea, dove gran parte della popolazione adorava l'Imperatore di allora) quando una pattuglia imperiale lo arrestò in una bettola clandestina mentre si scolava una sacrosanta birra fresca. Fu rinchiuso per direttissima, senza neppure concedergli un processo.
— Perché hai violato il coprifuoco, Vilandel? Non lo sai che se decido un coprifuoco deve essere rispettato in tutta la Galassia? — disse svogliatamente l'Imperatore, con la guancia ancora sul pugno.
Il vecchio Marcus alzò la testa, e con il dovuto rispetto rispose: — Se fosse stato un Vostro ordine, Maestà, quella sera me ne sarei stato al caldo nel mio letto, fiero e ubbidiente. Non avrei mai osato contravvenire a un Vostro ordine, soprattutto il coprifuoco. So bene cosa significa. Ma a quei tempi…
L'Imperatore parve più interessato, si mise leggermente più composto e chiese divertito: — Dimmi, vecchio, quanti altri imperatori conosci che possono ordinare un coprifuoco?
— Solo Voi, oggi, Maestà. Io, però, ho disobbedito al coprifuoco di Vostro zio.
Sorpreso, l'Imperatore guardò il Cancelliere, che rispose prontamente: — Maestà, il signor Marcus Vilandel è stato arrestato trenta anni fa, su Borea, dove una sera fu sorpreso a bere della birra in un…
— Basta così, ho capito. — fece l'Imperatore, con un cenno di fastidio.
Tutti i presenti erano stupiti. Sì perché, di solito, l'Imperatore decideva molto rapidamente sulla Grazia o sulla disgrazia dei sorteggiati, ma quella volta sembrava che la cosa potesse andare per le lunghe. Inoltre, l'Imperatore raramente scambiava più di qualche parola con chiunque non fosse il Cancelliere, perché gli veniva impedito per questioni di sicurezza, e probabilmente non si sarebbe lasciato sfuggire quell'occasione.
L'Imperatore si alzò, si sistemò il mantello blu elettrico, fece un paio di giri attorno al trono (per concedersi il tempo di scegliere chissà quale idea), infine ordinò: — Vecchio, vieni qui!
Il Cancelliere sgranò gli occhi, il vecchio Marcus altrettanto, ma non se lo fece ripetere due volte. Cominciò a salire la disagevole scalinata (forse disegnata appositamente per colpire con precisione le zone artritiche del ginocchio); si fece aiutare dalle guardie. Due di esse lo accompagnarono fino al cospetto di Dixel III, Imperatore della Galassia tutta, conosciuta e non.
— Liberategli le mani.
— Ma… — tentò di opporsi il Cancelliere.
L'Imperatore lo guardò duro, e il Cancelliere obbedì, ripetendo il comando: — Liberatelo!
Le due guardie che erano con Marcus disattivarono il campo di forza che costringeva i polsi a restare aderenti, come se un chiodo invisibile li avesse trapassati.
— Voi, guardie, restate lì. Tu, vecchio, vieni qui con me.
L'Imperatore era di fronte alla sua bottiglia di Brandy, con le mani dietro la schiena, in una posa vagamente marziale. Stava osservando il vuoto siderale, in una zona della Galassia uguale e tutte le altre.
Marcus, tremante, si affiancò all'Imperatore e tentò di dire qualcosa: — Maestà, io…
L'Imperatore lo interruppe: — Guarda là fuori. Lo vedi?
— Che cosa, Maestà?
— Il Tutto! Le stelle, le galassie, gli umani. Quante persone credi ci siano lì fuori?
— Miliardi, Maestà?
— Sì, vecchio mio. Miliardi. Milioni di miliardi, per essere più precisi. Ci sono anche miliardi di quei bastardi rossi.
Marcus non fiatò e l'Imperatore continuò: — Sai chi sono io?
— L'Imperatore, Maestà.
— Esatto. Sai qual è la cosa buffa? Io sono in grado di comandare tutto quello che c'è là fuori, posso schioccare le dita e qualcuno di quei punti bianchi potrebbe spegnersi. Puff!
— Maestà… — Marcus era in imbarazzo.
— Il bello è che posso fare tutto, tranne vivere la mia vita.
I due conversarono (a senso unico) per diversi minuti, le guardie udivano solo un bisbiglio e, dal basso, il Cancelliere poteva solo scorgere l'Imperatore agitare le mani, e Marcus annuire meccanicamente.
— Ho quaranta anni, vecchio, lo sapevi?
— Sì, Maestà. Ben portati direi.
— Non mi prendere in giro, vecchio, non tu, ti prego. Lo vedo da me, dal mio riflesso su quella finestra, che sono in disfacimento. La vedi quella? — indicò la bottiglia di fronte a loro.
— Sì, Maestà. — confermò Marcus.
— Bene: è mia! È tutta mia, e tu potresti lavorare tutta la vita senza riuscire mai a mettere da parte sufficienti crediti per comprarla, neppure al mercato nero. Divertente vero?
— No, Maestà.
— Bravo, non mi hai mentito. Sai cosa ho intenzione di fare adesso?
— No, Maestà.
— Adesso lo vedrai.
L'Imperatore prese due calici finemente decorati, versò il prezioso liquore in entrambi e ne porse uno al vecchio Marcus che, ovviamente, si guardò bene dal rifiutare. E poi il Brandy gli piaceva, quindi non era esattamente uno sforzo accettarlo.
— Vecchio, tu sei qui per chiedere la mia "Grazia" — sottolineò la parola con disgusto — per un qualcosa che neppure ricordo, ma lascia che sia io a chiederla, per me stesso.
— Maestà, non capisco.
L'Imperatore alzò la voce, assicurandosi che tutti i presenti lo udissero chiaramente.
— Ti concedo la Grazia, Marcus Vilandel!
Dal basso della scalinata salì un boato di approvazione, misto allo stupore del Cancelliere e delle guardie, poco abituati a questi momenti di rara generosità.
Il Cancelliere aveva intuito che l'Imperatore stava per bere quel liquore, ma mai e poi mai si sarebbe potuto permettere di fermarlo, tranne se ci fosse stato lì il medico e se l'Imperatore fosse davvero in pericolo di morte imminente.
Il vecchio Marcus era ancora pietrificato, non ci poteva credere, tutto appariva come uno scherzo di cattivo gusto. L'Imperatore si mise di fronte a lui, alzò il calice e lo invitò a bere.
Buttarono giù tutto d'un fiato quel tesoro liquido, anche se normalmente andrebbe gustato con moltissima calma, magari con un buon sigaro fatto a mano: — È buono, vero?
— Sì, Maestà, è un nettare squisito. — Marcus era onesto.
L'Imperatore posò il bicchiere e, con armoniosa calma, si tolse il mantello. A quel gesto, tutta la sala delle udienze ammutolì. Il Cancelliere corse su per le scale, sfidando la gravità artificiale.
L'Imperatore gli fece cenno di non avvicinarsi oltre. Infine, ordinò al vecchio: — Girati, Marcus.
Il vecchio obbedì. L'Imperatore gli posò il mantello sulle spalle, si girò e, quasi urlando, annunciò a tutti i presenti: — Da oggi abbiamo un nuovo Imperatore! — e si inchinò rispettosamente all'Imperatore Marcus Vilandel, primo del nome.
Il vecchio Marcus tentò di rifiutare, o in qualche modo cercò di darlo a vedere, ma non ci fu storia, dovette accettare. Era forse meglio tornare sulla luna penitenziaria di Borea? Ne dubitava seriamente.
L'ex Imperatore Dixel III, con un bizzarro e fanciullesco sorriso in volto, afferrò la bottiglia per il collo, rubò un calice imperiale e sparì, lontano da tutti, in una delle stanze del nuovo Imperatore della Galassia tutta.

(fine)

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